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Immagine del redattoreYana K Duskova Madonno

Come si reagisce ad un attacco?


Foto di Kranich17 da Pixabay



Cosa può considerarsi un "attacco" e cosa no? Perchè, diciamocelo chiaramente, ogni volta che percepiamo che qualcosa si sta avvicinando al nostro campo immediatamente entriamo in allerta, è il nostro sistema automatico di controllo territorio. Non è una cosa sbagliata: è un pratico sistema di controllo del territorio installato da sempre, tutto qua. Come potete trovare qui nel video, si può considerare un attacco "ogni stimolo, movimento, effetto che dall'esterno arriva verso di noi in maniera non aspettata, non permessa, non richiesta fino a definirsi invadente.

Proprio per le caratteristiche sopra elencate prende in automatico la connotazione di "atto violento", dove non per forza ci si deve aspettare un atto sanguinario o di abuso chiaramente riconoscibile, ma il fatto stesso di essere in qualche modo "imposto" ne determina lo stato. A determinare lo stato di attacco sono due fattori: sia il movimento volontario di una parte esterna verso di noi, sia il nostro percepito di pericolo o paura che varia da persona a persona a seconda del vissuto e della capacità di reagire. Se per esempio, davanti ad una vespa (che potrebbe essere un potenziale pericolo come no) io scappo a gambe levate, altre persone potrebbero non percepirla come un potenziale pericolo e rimanere calmi.


Esistono diversi tipi di attacco:

- c'è quello fisico più facile da individuare, è quello che più facilmente intercettiamo come possibile pericolo o fastidio;

- emozionale: quello che più facilmente ci fa scattare sull'attenti e pronti a rispondere;

- e quello energetico che probabilmente rimane ancora il più difficile da individuare o percepire: magari lo sentiamo ma non sempre sappiamo come affrontarlo.


E come si reagisce ad un attacco? A seconda delle tre intelligenze, e per nostra natura, tenderemo ad attaccare a nostra volta, a fuggire o a fingerci morti nella speranza che finisca in fretta.


Ma le arti marziali energetiche e tutte le discipline che studiano il movimento energetico, individuano 3 modi per rispondere agli attacchi:


- rispondere con altrettanta forza (nessuno vince, si contano sono i morti);

- avere la reale capacità di lasciare andare e non farsi carico di tutto;

- e poi, il più difficile: per cui occorre avere grande conoscenza di sè e degli altri per lasciare entrare, trasformare e restituire con una vibrazione più alta il movimento energetico o fisico con cui abbiamo a che fare(un po' come fanno i gatti che trasformano le energie incoerenti della casa in energie coerenti, o come fanno gli alberi che assorbono anidride carbonica e la restituiscono come ossigeno, o come fanno i marzialisti che sfruttano l'energia degli attacchi di forza a loro favore).


Difficile, siamo d'accordo, ma non impossibile visto che esiste in natura.

Diciamo che il secondo e il terzo modo sarebbero i migliori da attuare per la loro capacità di creare un moto energetico più soft e funzionale. Mentre nel primo caso il rischio è quello di creare maggiore dolore (potrebbe tradursi con: io crepo ma tu vieni con me) proviamo ad immaginare in una discussione o litigio: sarebbe come davanti a forti urla ed imposizioni di là si rispondesse con altrettante urla e violenze... nessuno vince.


Per riuscire a farsi scivolare VERAMENTE le cose non basta un distacco serafico, occorre abbastanza conoscenza e fiducia in sé da essere fermamente in grado che ciò che arriva da fuori non è un attacco personale o una critica verso la nostra persona. Insomma qui si torna alla cara, vecchia, tanto raccontata autostima, e di riconoscere cosa è mio da cosa non lo è, fin dove arrivo e io e fin dove non compete a me.


Se invece, siamo per l'arte del riciclo non ci sarà sfuggita la funzionalità del terzo modo "poca spesa, massima resa". La capacità naturale di traslare e nobilitare gli attacchi ricevuti. Non esiste un unico modo per imparare a farlo, occorre una buona conoscenza di sé e di chi ci circonda, occorre imparare a vedere oltre all'attacco e a percepire la sofferenza o il bisogno non compreso che vi è dall'altra parte che l'ha portato ad agire in quel modo. E' quella che viene chiamata compassione, amore incondizionato o empatia.

Che troppo spesso confondiamo con il "porgi l'altra guancia" o il lasciarsi sottomettere. Io ho trovato validi strumenti nella comunicazione non violenta con Claudio Trupiano e Maria Greco, nella conoscenza delle personalità attraverso l'Enneagramma, i Fiori di Bach e le 5 ferite di Lise Bourbeau.


Ogni volta che mi interesso di me stessa e del perchè il prossimo agisca in un modo diverso dal mio, amplifico questa capacità.

Dopo aver letto l'articolo o dopo il video vi ho preparato una MEDITAZIONE da fare per fare nostro il terzo modo. Anche questa meditazione, come le altre è gratuita e condivisibile, ma in questo caso (proprio in virtù di ciò che ci siamo detti) per chi fosse nella possibilità di aiutarmi vi chiedo una donazione: sto sostenendo il progetto di un'amica Cristina Barbareschi per la costruzione di infrastrutture ed in particolare di un pozzo in un villaggio in Tanzania, Mbogoi Lengusero, nel distretto di Handeni . Non importa che sia di 1,2,3,5,10,50,100 euro, e soprattutto non siete obbligati. Buona continuazione della vostra estate!

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