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Immagine del redattoreYana K Duskova Madonno

Il Narcisista e le relazioni tossiche, è sempre colpa sua?


Il "narcisista", la colpa è davvero tutta sua?


Sempre di più ho avuto modo di incontrare persone ferite e amareggiate dopo o durante una relazione che a loro percepito, aveva qualcosa di tossico, e la maggior parte delle volte il partner indicato, veniva etichettato come narcisista.


Ma cosa si intende con i tanto inflazionati termini “relazione tossica” e “narcisista”?

Intanto siamo tutti capaci a postare frasi tipo “una relazione deve solo migliorare la tua vita, se la lascia uguale puoi tollerarla, se la peggiora allora non ti serve”, ma poi quando si tratta della cruda realtà, i guanti (per non dire ca**i) sono altri.


Cosa si intende per relazione tossica?

Scomponiamo la parola per capirne l’origine, prendendo spunto dal sito etimoitaliano.it

Rel-azione

Relatio: stabilire un legame, riportare, creare un rapporto

-azione: movimento


Quindi, affinché esista una relazione occorre essere in due, ed entrambi devono fare azioni.


Tossico: l’origine deriva dal veleno in cui si intingevano le frecce per portare morte.


Con relazione tossica quindi, si definisce un rapporto fatto di due persone che con le loro azioni avvelenano e si avvelenano in maniera reale o figurata.

Il termine “narcisista” affonda le sue radici nel mito greco secondo cui il giovane Narciso venne punito per non aver corrisposto l’amore di Eco, in quanto incapace di amare e troppo concentrato e rapito da se stesso. La punizione consistette nel fatto che si innamorasse perdutamente di sé e trasformato nel fiore omonimo. (bignami spostati proprio, e anche veloce)


Si tende quindi a etichettare un narcisista come una persona la cui prima impressione è molto bella, ci piace, è esuberante, ci fa sentire bene (vedi articolo sui bisogni primari) ma assolutamente non in grado di dedicarsi nello scambio reciproco che richiede una rel-azione.


Come a dire, è talmente preso bene da se stesso/a che non ci sarà mai per vivere una rel-azione completa con l’altro, sarà sempre troppo innamorato/a di sé.


Nell’epoca della svalutazione si è sentita la necessità però, di spezzare una lancia in suo favore: laddove costantemente tendiamo a sacrificarci per gli altri, mettendo i loro bisogni ai primi posti o tendiamo a non riconoscere i nostri valori, Narciso ha solo che da insegnarci cose.


Così sono stati delineati due tipi di narcisismo: uno “funzionale” e uno “patologico”, secondo i termini della psicoterapia, come  a distinguere che un po’ va bene, ma troppo no… insomma, “Narcì… anche meno…”


Chi già mi segue e mi conosce, sa che dopo un po’ che si parla… io alle frasi che cominciano con “tizio mi ha fatto sentire così…” , “Caia mi ha fatta sentire cosà…”, “è colpa di X se io sono così…” storco il naso.


E’ chiaro che sono le interazioni con gli altri che ci fanno sentire, o ci rendono sensibili, a delle sensazioni… ma che la colpa per come ci sentiamo, sia degli altri, regge fino a un certo punto.


O meglio: posso passare tutto il tempo che mi serve e che sento necessario a dire che il modo in cui mi sento è colpa degli altri, posso andare avanti anche una vita.

Ma nel momento in cui desidero che le cose cambino veramente, la ruota deve girare, e tocca entrare nell’ottica che non esiste possibilità di cambiare gli altri, se questi non ne sentono la necessità… e che l’unico cambiamento efficace, duraturo e possibile è quello che scegliamo di attuare noi, in prima persona.


Questo implica quanto meno valutare di lasciare andare l’ipotesi che sia colpa degli altri per come mi sento o per come sono.

Ognuno di noi incontrerà, a seconda della "sfiga", decine, centinaia o migliaia di persone “stronze” o “narcisiste” ecc… e ognuna di loro avrà diritto ad esserlo, in base a una sua storia che le ha portate a sviluppare quel comportamento di difesa piuttosto che un altro.


Giudicarle con un’etichetta incasellante non aiuterà loro e non aiuterà voi.

In quel caso avrete due possibilità: passare la vita a giudicare con etichette le persone che vi sono scomode e tentare di cambiarle tutte con dispendio di energie e risorse elevatissimi e scarsi risultati o possibilità di successo; o scegliere di cambiare quel qualcosa in voi che vi fa scattare nel dolore e che allo stesso tempo vi fa dipendere da quella rel-azione.


Lamentarsi di essere in una relazione tossica con un narcisista va bene (se limitato nel tempo)… tutto sommato si tratta di ascoltare e accogliere una disarmonia e un dolore che hanno bisogno di essere ascoltati.

La soluzione sta nel cosa volete farne di quel dolore… Se vi può permettere di ipotizzare una scelta diversa, valutando l’ipotesi di interrompere quella relazione trasformando voi stessi in qualcosa di diverso allora è funzionale.


Ma se lamentarsi e crogiolarsi in quel dolore, in realtà copre altri bisogni di relazione e la paura di perdere qualcuno o qualcosa che in qualche modo “ci fa sentire” importanti o meno soli, allora qualcosa andrebbe rivisto.


La persona che al primo posto ha se stessa e che non è in grado di amare nel modo in cui vogliamo noi o nel modo in cui noi siamo disposti a riconoscerlo, ha una sua storia particolare.

E come ognuno di noi, non può dare qualcosa di cui non ha fatto esperienza.

Passiamo a un esempio ortofrutticolo, che aiuta sempre.

Se sono stata cresciuta vedendo che l’amore si coltivava sotto forma di patate e i miei genitori piantavano solo quelle, e nel tentativo di rendermi forte e sostenermi mi hanno detto che le mie patate erano le migliori, che come le mie nessuno mai, che non sono esistite mai patate a mondo ineguagliabili, e che al mondo esistono solo patate,  quella sarà la mia esperienza che mi porterò dietro e con cui entrerò nel mondo.

Quando qualcuno si relazionerà con me, siccome quando chiedevo amore, questi mi veniva riconosciuto come “patate” per me, quella sarà l’unica modalità disponibile di azione.


Ma nel mondo c’è chi coltiva anche solo fagiolini, e altri che hanno fagiolini e non disdegnano altri ortaggi o che lasciano la possibilità che altri piantino altre verdure.


Se incontro una persona che ama solo con le patate e non solo non ha altra esperienza, ma non ha tra le sue carte neanche la possibilità di accogliere che esistono altri modi per amare (oltre le patate), quando le chiederò amore lei potrà darmi solo patate. E io avrò voglia a dirle che esistono fagiolini, o la possibilità di carote e cipolle… lei non avrà la minima idea di cosa rispondervi.


Le persone cresciute con l’idea della perfezione ed esclusività hanno acquisito limiti molto alti rispetto al riconoscimento degli altri. Hanno livelli di protezione elevati, perché in qualche modo quello è stato il modo migliore pensato per crescerli.


Loro sono così, e starà a loro decidere se cambiare, ma il cambiamento lo sentiamo necessario solo quando avvertiamo un disagio… ma se mi sento perfetto/a, ineguagliabile, il top del top… come posso pensare o lasciare spazio all’ipotesi che sono sbagliata/o?

Il più delle volte potrei sentirmi solo/a e incompreso/a e frustrato.


La responsabilità in una coppia in cui uno dei due soffre perché l’altro non si accorge della sua sofferenza perché è in un modello così esclusivo, è solo di chi resta e accoglie quel dolore. Dopo un primo momento giustificato di accreditata lamentela, occorre chiedersi “cosa mi fa restare lì?” “cosa voglio ottenere rimanendo lì?” “quanto sono disposto/a ad accogliere che sto rimanendo in una mia scelta”?


Ogni relazione può portare a vivere un dolore, questo non è sbagliato. Tutto ciò che è dinamico ha i suoi alti e i suoi bassi. Rimanere in uno stato di dolore che non viene trasformato in qualcosa di utile ed evoluto per la persona, dando la colpa agli altri, significa solo continuare a sbattere la testa contro lo stesso muro.


O, a voler citare un mio cliente, “se stai camminando in montagna e passi tre volte davanti allo stesso albero, c’è una sola spiegazione: ti sei perso. E se sta venendo buio, è ora di fermarsi e pensare al rifugio per la notte per non peggiorare le cose, domani con la luce del mattino sarà più semplice ritrovare la strada verso casa.”


A questo proposito mi piace anche sempre dare un ulteriore punto di vista, rispetto a quando ci troviamo un “problema” o “ostacolo” sul nostro cammino.

Secondo il pensiero NewAge di queste nuove epoche “illuminate”, ogni ostacolo doloroso che incontriamo ha un suo significato e vuole dirci qualcosa.


Su questo concordo.


Ma dove sta scritto che la soluzione e la lezione da imparare sono solo quelle di “combattere, sconfiggere, cambiare, integrare”?

E se la lezione da imparare fosse quella di riconoscere qualcosa che non ci fa bene, e scegliere consapevolmente di dire di no, come dono d’amore verso noi stessi? Se la lezione fosse quella che “non è compito mio salvare il mondo”? Che posso scegliere di andare avanti proprio perché mi amo e so preservarmi da dolori inutili?


E’ come dire che se mi invitano a cena e riconosco che nel mio calice c’è del veleno, dove sta scritto che la lezione che devo imparare è per forza di cose, berlo e integrarlo?

E se la lezione che il “narcisista” viene ad insegnarci fosse “riconosco che c’è del veleno, e proprio per quanto mi amo e sono al primo posto nella mia vita,  scelgo di non berlo?”


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