Cosa dovrebbe sapere assolutamente di te, una persona che ti frequenta per la prima volta?
Fermati un attimo e pensa a 3 cose che sai fare benissimo e che possono definirsi “tuoi talenti”.
Se anche tu fai parte di quella massa di persone che si è pseudo immobilizzata e nel suo pensiero hanno cominciato a materializzarsi bianche distese di sabbia, rotolini di paglia o grilli sperduti nella notte… stai tranquill* sembra che tu non sia sol*.
Per quanto sia strano…sembra che sia una cosa estremamente difficile, riuscire a stilare una lista di cose che siamo bravi a fare… io qui, ahimè ci vedo un po’ uno zampino non proprio pulito di anni passati ad inculcare umiltà, spirito di sacrificio, sensi di colpa nelle maniere più sbagliate che si potessero immaginare. E’ come se, una persona per essere buona debba essere forzatamente portata ad essere umile e disposta a sacrificarsi indiscriminatamente per gli altri. Sei buono solo quando sei disposto a farti da parte per gli altri… ma sarà davvero così? E umiltà, cosa vuol dire essere umili? Se andiamo a ficcanasare tra i vocabolari ed etimologie non è che ci sia da stare allegri, nessuno lo associa a qualcosa di positivo: i più rimandano ad atti di sottomissione, riverenza e testa giù, vola basso.
Senza voler fare un trattato filosofico e religioso sul perché e per come “essere umili” fosse tanto importanti ai fini di essere riconosciuti dal Signore, qualcuno mi spieghi perché dovrebbe essere un aggettivo positivo per una persona.
Il problema non è la parola in sé (non lo è mai), il problema nasce dall’utilizzo di una parola e la sua contestualizzazione: fino a quando vedrò nel successo degli altri, una mia mancanza come se fosse un chiaro caso di causa-effetto, i disagi saranno grandi.
Vi è difficile vederlo su voi stessi? Provate a girare la questione sui vostri figli, nipoti o qualcuno a voi caro.
Se vostro figlio andasse benissimo in matematica, ma il suo compagno di banco fosse meno portato, in che modo il problema dovrebbe essere di vostro figlio? Lo spingereste ad “essere umile” ovvero abbassare il volo, non puntare a voti alti perché altrimenti gli altri si sentirebbero a disagio? Sarebbe davvero così funzionale? Perché qualcuno dovrebbe “volare più basso” perché gli viene con facilità una cosa che gli piace?
Ben altra cosa sarebbe se vostro figlio usasse volontariamente le sue capacità in matematica per creare disagio al compagno di banco, allora sì, magari deridendolo… ma in quel caso il problema non sarebbe il suo talento, ma la sua educazione dei sentimenti.
Ma perché se sono bravo in qualcosa che mi piace non posso viverlo serenamente? Avete mai pensato che magari quel compagno di banco non è bravo in matematica perché è fatto in modo diverso da vostro figlio e invece potrebbe avere una memoria di ferro per le date storiche? Questo dovrebbe ferire vostro figlio? Ora rigirate la cosa su di voi. Io non credo che il motivo per cui dovreste essere fieri delle cose belle che fate, vi spingerebbe a sbatterlo in faccia ad altri. Se, come citava una vecchia pubblicità, sono bravissima a fare il risotto, in che modo dovrebbe essere un problema per gli altri? Al massimo può essere una risorsa!
Quindi fate molta attenzione quando vi chiedo di stabilire i vostri talenti: non vi sto chiedendo “cosa sapete fare che gli altri non sanno fare” (tipo tiè,tiè,tiè io so farlo e tu noooo….) ma vi sto chiedendo semplicemente: “cos’è che ti piace fare al punto che ti viene bene e con facilità”? Secondo J. Hillman, psicoanalista, ogni persona verrebbe al mondo con determinati talenti che deve sviluppare e mettere al servizio del mondo, questi si manifesterebbero da bambini, infatti si dice che per aiutare un adulto a trovare la sua strada bisognerebbe fargli ricordare cosa gli piaceva fare intorno ai 7 anni (anno in cui il settimo chakra si manifesta e conferma).
La cosa peggiore che puoi fare, per mancare di rispetto a tutto ciò che è Divino e non ascoltare e sviluppare quei talenti. Indipendentemente dalla religione o filosofia che tu segua o meno, ti farò un esempio:
Facciamo finta che esista un Dio, una forza universale, madre natura, una legge biologica legata all’evoluzione della specie, un qualcosa che in qualche modo coordina tutto quello che è visibile o invisibile agli occhi dell’uomo. Sappiamo che la spinta che tutto muove è l’evoluzione della specie, quindi l’essere umano ha questa esigenza di riprodursi e migliorarsi (migliorando di conseguenza la specie) costantemente. Qualcuno la sente di più, altri di meno. Qualcuno in un modo, qualcuno in un altro. Sappiamo che la comunità è costituita da tante cose da fare e di cui occuparsi: c’è bisogno di cibo, di cura, di amore, di istruzione, di logica, di sentimenti, di passioni, di leggerezza, di coraggio, di espandersi, di difendersi e chi più ne ha, più ne metta. Sarebbe tanto strano pensare che la cosa più funzionale sarebbe quella di far nascere persone più inclini a fare una cosa piuttosto che un’altra, invece di far sì che tutti facciano tutto alla “viva il parroco”? (espressione per dire “alla buona”). E se questa naturale inclinazione si manifestasse attraverso un talento? E quindi alla naturalezza in cui una cosa mi riesce? Sapendo che se a me viene bene prendermi cura di una persona e adoro fare la mamma, non è che questo mi renda automaticamente un’incapace perché non ho cercato di studiare fisica e sparare razzi sulla luna… Cosa ci sarebbe di sbagliato se mi concentrassi e rendessi onore al mio divino mettendo al servizio per il massimo bene comune il mio talento?
Una precisazione: non sto dicendo che se mi viene bene una cosa, allora devo fare solo quella perché “sono destinato a fare solo quello”… Ascoltare il proprio impeto e le predisposizioni vuole anche dire spingersi a conoscere qualcosa per il semplice gusto di provare o mettersi alla prova con qualcosa di nuovo, arricchendosi di uno strumento e di una conoscenza in più!
Molti di noi lo fanno e sono dei grandi. Molti lo fanno esponendosi alla critica di chi non riesce a vedere quel talento come una loro mancanza e di conseguenza si sente in diritto di attaccarlo spesso indirettamente… Molti rinunciano in partenza proprio perché “non vogliono peccare di presunzione” e così facendo si precludono felicità e quella bellissima sensazione di essere al posto giusto nel mondo.
Ora, dopo questo pippone lunghissimo, se siete arrivati fino a qui, vuol dire che volete darvi una possibilità:
Prendete quel foglio che avete lì, la penna che il più delle volte non scrive (quella decidetevi a buttarla via una volta per tutti e prendetene un’altra) e scrivete i vostri primi 3 talenti:
i consigli sono:
- Cosa mi piaceva fare quando ero piccol*?
- Cosa mi viene bene, veloce e con facilità, fare?
- Cosa mi dicono gli altri che riesco a fare bene?
- Cosa mi rende felice fare?
- Cos’è che quando lo faccio mi fa sentire “al posto giusto, nel momento giusto”?
- E se ancora proprio non vi viene in mente niente, allora prendete spunto dalla lista… suvvia, qualcosa di buono sarete pur ben in grado di farlo, non fatevi pregare!
Ora avete un’abbozzata mappa dei vostri talenti, e forse, la vostra mission. Siatene fieri, se ne avete la possibilità condivideteli con gli altri. E non vergognatevene mai. Teneteli ben presenti, magari lasciate il foglio appeso da qualche parte e non rinunciateci. MAI.
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