Come si concede o riceve il perdono?
- Yana K Duskova Madonno
- 13 ott
- Tempo di lettura: 6 min

Il falso mito del perdono e del lasciare andare.
Non leggere questo articolo se non sei disposto/a ad accogliere l’ipotesi che il perdono non è qualcosa che si concede o che dobbiamo meritare, perché ti risulterà scomodo.
Andiamo a vedere da dove nasce la parola perdono e la sua storia, perché sappiamo che le parole sono suoni trascritti che raccontano tutta la storia di come quella parola si è venuta a formare, e cosa voleva raccontare ed esprimere.
Perdono per=completamente dono=donare, rilasciare, assolvere la pena, rimettere una colpa (www.etimo.it)
Perdonare: riporre in grazia dimenticando un’offesa
Secondo la Treccani inoltre la stessa parola assume sfumature diverse a seconda del contesto in cui la incontriamo:
Giuridicamente si tratta di condonare una pena
mentre in ambito religioso ed ecclesiastico sarebbe una remissione dei peccati, un indulgere o assolvere i peccati.
A me piace sempre andare ad ascoltare la versione di Igor Sibaldi che in un video traduce e interpreta il perdono come “un tollerare una situazione perché non si può fare più niente per cambiarla” e ancora: “ Tu sei stupido hai fatto un torto, io ti perdono perché non posso fare altro, ti grazio e così riconosci la mia superiorità e ti sentirai in dovere di compiacermi”.
Per Daniel Lumera non si tratta di dimenticare qualcosa di brutto che è accaduto, ma di liberarlo dai contenuti di dolore e sofferenza che ci agganciano, apprendere una lezione e trovare l’occasione per apprendere delle qualità utili per la propria crescita
Perdonare è dimenticare?
No, sono d’accordo, perdonare non è dimenticare, è vivere quel dolore che l’evento ci suscita fino al momento in cui non ci farà più male, ma dimenticare è inefficace oltre che impossibile. Coloro che che promettono di poter dimenticare, sovrascrivere, cancellare, riscrivere, riprogrammare i nostri sentiti ignorano una cosa molto importante: che siamo fatti per imparare dai nostri errori e dalle sofferenze che viviamo, ogni dolore che vivi è quell'immagine che ti serve per imparare una nuova cosa ed evolvere. Quando cancelli, non evolvi, non progredisci nel tuo cammino. Quando tu mi cancelli un'allerta o una paura cancelli con essa la mia capacità di riconoscerla come un'opportunità di trasformazione, mi stai solo portando indietro per non rivivere qualcosa che percepisco come troppo doloroso, stai convalidando quella parte di me che pensa di non farcela. E quando ricapiterà io non avrò sviluppato le qualità necessarie per trasformarla.
Perdonare è assolvere?
Questo è un bellissimo giochino che ci trasciniamo dalle varie religioni in cui il perdono era una benedizione, tipo bacchetta magica, che quando qualcuno te lo dava tu eri magicamente libera.
Ti dico che hai fatto una cosa gravissima, ti dico che hai peccato, ma poi ti do anche la soluzione (solo se decido che sei veramente pentita) così tu mi sarai grata per sempre.
AAA dipendenza da figura paterna cercasi forever.
Perdono è lasciare andare?
Ehm Ni… il concetto c’è ed è quello, il problema è quando ti viene detto di “lasciar andare” come se bastasse schiacciare un pulsante per farlo. Diciamo che l’obiettivo è quello, ma la pratica ha bisogno di qualche step in più.
Il perdono è avvenuto quando non senti più attivazioni di dolore ripensando a quel fatto lì, il tuo corpo non sente più il bisogno automatico di re-agire, o quando hai buoni motivi ed esperienze compensative per sapere che hai superato quel dolore o che hai acquisito sufficiente fiducia in te stessa e negli altri per andare avanti “nonostante” il fatto che potrebbe riaccadere.
E’ ricostruire un pezzetto di cuore che si è frantumato malamente, è vedere la speranza che c’è dietro.
In decisa e forte contro tendenza a quanto narrano le cronache New Age, il perdono non è un atto volontario o attivo, non è qualcosa che si può decidere di dare.
Perché in questo caso il movimento sottile che si cela è un atto di gerarchia e potere.
Sempre citando Igor Sibaldi “le tradizioni religiose hanno imborghesito il concetto di perdono attraverso trascrizioni delle scritture cristiane passandolo come un compiacimento della propria bravura o superiorità quando si perdona qualcuno”.
Tu hai fatto qualcosa di sbagliato che mi ha creato difficoltà o danni, ma io sono talmente brava/o che ti perdono, ti annullo il debito.
Sottile manipolazione per farti sentire in debito per sempre nei miei confronti perché sono stata così buona da perdonarti quell’errore. (cit. “Com’è buono lei” – Fantozzi)
È una questione di debiti?
Eh si, diciamo pure di sì… se “viene concesso” come un dono inestimabile in aura di santità… Se mi hai sterminato la famiglia, o piantato un cesto di corna, o fregata malamente sul lavoro e io istantaneamente ti perdono, immediatamente ribalto la situazione a mio favore, e invece della vittima divento quella gran figa che ha già perdonato tutto, che cuore grande hai.
E poi diciamocelo: scegliere a tavolino di perdonare con un semplice click sembrerebbe tanto come mettere la testa sotto la sabbia, o la sabbia sotto al tappeto, ignoro e vado avanti.
Decisamente molto più semplice che stare davanti al dolore, la delusione, le nostre aspettative infrante, la fiducia a pezzetti… sicuramente più facile e sbrigativo. Ma è come lasciare lì una spina che prima o poi, potrebbe venire nuovamente a fare male.
Ma cosa succede al “peccatore” se non ha la possibilità di stare a contatto con il suo errore? ...
...Con il dolore e la sofferenza involontariamente causati? Con la responsabilità e la presenza di ciò che ha fatto? E senza la possibilità di rimediare, o interfacciarsi con il dolore dell’altro?
Il tanto agognato perdono, anche se concesso, non verrà mai sentito o “registrato” rimarrà sempre una lontana canzone che canterà i suoi sensi di colpa.
Azzeramento per ripartire in una relazione, è possibile?
Uno a uno, palla al centro.
Un modo in cui si usa il perdono è una sorta di azzeramento, un’indulgenza plenaria, un reset della situazione. Come dire, facciamo finta che non sia mai successo, cancella e riavvia il sistema.
Che in maniera un po’ goffa e superficiale può apparentemente dare i suoi frutti, ma mantiene in sé grosse insidie tra cui il fatto che se tu quella roba lì non ti sei concesso il tempo di elaborarla, ogni volta che rivedrai quella persona ti rimarrà la sensazione di qualcosa che si è rotto e non tornerà mai più come prima. Come un meraviglioso e buonissimo tiramisù in cui sai che potrebbe esserci una cimice… si certo mangiare puoi sempre mangiarlo, ma ad ogni boccone avresti la paura di trovartela in bocca…
Cos’è per me il perdono?
È sentire che anche se mi hai fatto del male (più o meno involontariamente) io devo poter avere sufficienti strumenti per credere nella tua buona intenzione di non farmene più; è poter stare con il dolore senza paura che tutto vada in pezzi e avere fiducia in entrambi rispetto al fatto che le cose brutte possono accadere ma che andiamo bene anche così, è vedere al di là del dolo, nel cuore della persona che in quel momento non aveva altre scelte, che il bagaglio che la spingeva era troppo grande, andava al di là della sua capacità di gestione o modulazione.
E' poter vedere la vulnerabilità e l'imperfezione mia e dell'altro senza averne paura.
Perdono non è ripromettersi che non succederà mai più. Perdono è quanto sono disposta a danzare con la dinamicità delle nostre anime e dei nostri percorsi. Quanto mi fido della mia capacità di gestire quel dolore in caso si ripresentasse, dove torno a sottolineare che per gestione non si intende “mettere via”.
Il perdono è il benessere del corpo
In termini di benessere corporeo, lasciare andare è fondamentale per non incastrarsi nella ruota del criceto dei sensi di colpa e del rimuginìo. Trovare il modo efficace per costruire la strada verso il vero lasciare andare garantisce anni di serenità e di salute fisica. La vita è troppo breve per passarla a portare rancore o rimanere agganciati a quello che poteva essere o dolori troppo grandi da affrontare.
Come cambierebbe la tua vita se tu potessi smettere di giudicarti sbagliato/a per quell’errore che hai fatto? Se tu potessi anche solo per un istante, sentire la possibilità che quella era l’unica cosa che potevi fare in quel momento con le conoscenze di cui disponevi? Se potessi realmente vedere che se tu avessi davvero visto un’altra scelta, altrettanto soddisfacente, l’avresti fatta?







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