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E' possibile controllare le E-mozioni?


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Oggi, mentre tornavo in treno dallo studio di Roma sono stata involontariamente tirata ad ascoltare una conversazione che verteva su questo argomento.


Dico involontariamente perché la conversazione che qualcuno stava tenendo al telefono era talmente infervorata, concitata e indiscutibilmente urlata, che io e tutti i passeggeri della carrozza non solo non abbiamo potuto fare a meno di ascoltare, ma è partita anche una serie di sguardi complici, sussurri di opinioni e scambi di punti di vista a riguardo.

Praticamente il vagone si è  trasformato in una puntata di Amici.


Un giovane ragazzo si confrontava con la madre rispetto a quale comportamento fosse giusto mantenere nella vita (come se fosse vagamente possibile deciderlo...) tra il vivere le emozioni correndo il rischio di lasciarsi sopraffare a causa della loro ingestibilità, e il vivere tutto in maniera algida, distaccata e razionale.

Come se la scelta fosse esclusivamente tra quelle due opzioni,

dr Jeckill e Mr. Hide,

Signorina Rottermeier e una pazza isterica

Satana e il quokka.


Sostengo da sempre che la società si è preoccupata di formarci attraverso l'educazione in qualsivoglia forma scolastica, civica, sessuale, religiosa, morale, ma quella roba lì sulle energie che si muovono dietro alle emozioni, manco penniente.


Certo, se questo piano fosse stato attuato decenni fa io oggi probabilmente non avrei un lavoro vocato al benessere olistico della persona, ma mi rimarrebbe comunque sufficiente tempo x dedicarmi allo studio del vino e della sua storia come vorrei.

Non cadrei comunque male, ecco.


Nella sua voce si sentiva l'ostinato tentativo di spiegare alla genitrice in che modo le emozioni gli avessero creato problemi nel tentativo di raggiungere traguardi importanti nei tempi precedenti, di come non fosse riuscito a conseguire la patente a causa dell' essersi sentito sottomesso da queste e dall' incapacità di gestirle.

E di come avesse "deciso" di non lasciarsi più travolgere, di essere tutto d'un pezzo, il cyborg de noatri.


"Se, te piacerebbe." Avrei voluto rispondergli.

È come dire, adesso basta, questo fiume che scorre impetuoso mi butta sempre per terra, ora lo fermo, ci metto uno sbarramento, perché io di stare sempre al bagnato non mi piace. 

Le E-mozioni fanno male, ti toccano dentro… le senti proprio nel corpo… come un crampo… le senti fisicamente presenti.

Ma è più difficile localizzarle perché ti prende questa sensazione che arriva come un’onda e tu non puoi farci niente.


Ecco, la cosa che spaventa di più è che per qualche momento puoi solo stare lì, impotente.

Come quando sei al mare e arriva un’onda… non puoi dire “no, no, non colpirmi…” o “no, no adesso scappo…” quando ci sei dentro, ci puoi semplicemente solo “stare”.


E se non sei preparata/o, la situazione si fa drammatica. Come tutte le cose, abbiamo più paura quando viviamo il fattore incognita.


Perché temiamo che possa farci del male, di non essere in grado di reggere quel misto di cose fisiche, emozionali, energetiche che ti arrivano lì tra capo e collo, come lo scontrino di una raccomandata.


Abbiamo tutte le finte ragioni per pensare che bisogna salvarsi da quel popò di roba lì, se guardiamo quello che ci hanno potuto insegnare o che abbiamo visto dagli altri.


Eppure, una cosa che ho imparato nel corso di formazione professionale di 5lb con Monique Charbonnier e Mark Pfister, è che l’onda delle E-mozioni ha una durata ben precisa…


e non vorrei deludervi, ma si tratta di una manciata di secondi.


Se uno rimanesse lì, dentro l’onda, questa non durerebbe che 8/12 secondi… Ciò che significa che tutto quel “boom!” o strascico di giorni di malstare è il nostro rimuginamento mentale che equivale al rotolarci nel fango come solo un maiale saprebbe fare. Solo che a lui piace, noi invece,  ci stiamo malissimo…


8/12 secondi. Ma ci pensate?

Tutto quello stare male, pensare e ripensare e recriminare, e ipotizzare… e poi dirsi “va bene, devo accettarlo…” e poi se ci ripensi mesi dopo ancora ti vengono le lacrime o ti trovi a discuterne con toni accesi finendo la frase con il “no, ma io oramai non ci penso più… la cosa non mi tocca…” e intanto,  mentre lo racconti ancora ti aggancia a quel sentito ti dimostra che “non hai messo via un bel niente…”


Quando troviamo in noi l’affetto sufficiente per accogliere quello che è accaduto, senza incastrarci in concetti come “giusto/sbagliato, il principio, il rispetto, l’invidia” o quando semplicemente vediamo il dolore che muove tutto questo, quell’onda scivola via…

E’ un po’ quello che facciamo insieme nei percorsi di E-mozioni… io vi racconto E-mozione per E-mozione cosa accade, e ci stiamo insieme.

E vi racconto quali energie sono coinvolte e perché ci danno quella sensazione così ingestibile. Così creiamo l’esperienza che “si può fare”.



Ma torniamo al nostro ragazzo sul treno, (#jesuisilragazzosultreno) che rispecchia un po’ tutti noi: chissà come si è formata in lui l’idea che ci fosse qualcosa di sbagliato, nelle suo modo di vivere le E-mozioni. Uno stato di quella che viene oramai troppo comunemente chiamata “ansia” che gli ha scombinato i piani o lo ha messo a disagio magari manifestandosi davanti ad estranei?


Chi lo sa. Tu quand’è che ti sentiresti di voler/dover bloccare o non lasciarti “sottomettere dalle E-mozioni”? 


Perché ognuno ha il suo momento cruciale in cui vorrebbe poter avere una bacchetta magica che gli permettesse (anche solo per quel momento lì) di “non essere emotiva/o”.


Lo scorso settembre ho partecipato come relatrice ad un evento fighissimo di Rigeneralife che parlava di biologia umana e dove tutta una serie di relatori (che la mia autostima percepiva “altamente più fighissimi di me” ) partecipava confrontandosi ognuno con la sua disciplina e studio.


Come se non bastasse c’era anche uno di coloro che io ho sempre visto come mio insegnante massimo, cioè il non plus ultra.


E, ciliegina sulla torta, le danze le aprivo io. Riuscite a immaginare qualcosa di più scomodo? Qualcosa di più agitante? Come quando si sogna di arrivare all’esame e ci si accorge di non ricordarsi niente. E ti sei presentata/o in pigiama, o peggio ancora nuda/o.


Siamo tutti d’accordo che, almeno che non si sia sotto l’effetto di farmaci o droghe pesanti, sia quanto meno concepibile sentirsi “agitati/ansiosi”? Che dite, c’è una possibilità?


La mia biologia dice di sì, infatti la voce alle prime parole mi tremava, il respiro era un po’ affannato e le mani erano inevitabilmente sudaticce. Nonostante fosse un evento che mi piaceva tantissimo perché mi permetteva di parlare a tante persone di qualcosa che amo condividere, quel tarlo onnipresente che tutti noi custodiamo e nutriamo gelosamente, mi rosicchiava dentro.

E non c’è verso di bloccarlo.

Così dopo aver valutato inconsciamente le varie possibilità alternative tra cui c’erano:

-          Attivare il sistema antincendio

-          Scappare via urlando

-          Fingermi morta

 

Ho anche pensato che in fondo potevo viverlo e andare avanti, come andava, andava.

 In fondo se qualcuno aveva creduto che io dovessi essere lì e si è fidato a farmi aprire le danze, perché non avrei dovuto farlo anche io?


Ma quello che ho imparato a conoscere, attraverso gli studi e le esperienze, è che il carico da 90 o il cosiddetto “asso di bastoni” lo fa “la paura del giudizio”. Ognuno di noi ne è atavicamente ipnotizzato. E non parlo di quella che a livello logico e razionale sappiamo scalzare quando ci diciamo “sticazzi” , ma di quella che vive comodamente tra le nostre viscere, quella che è installata nel nostro sistema operativo, quella che ci fa sudare viso e mani ogni volta che ci dobbiamo interfacciare con qualcuno che è seduto lì, per ascoltarci.


O, peggio ancora, se magari deve darti un voto, e tu devi piacergli abbastanza per essere inserito/a in una scala universalmente riconosciuta da un numero che possa testimoniare agli altri che tu hai un valore statisticamente riconoscibile. Che qualcuno (a sua volta altolocato e riconosciuto) con verosimili competenze, abbia detto e scritto il tuo valore.

Perché con quel valore o giudizio tu puoi andare e muoverti in una società che magari non sa chi sei perché non ti conosce, ma se tu hai quel “valore scritto” sa come inquadrarti. E magari non sai niente di quella materia perché hai copiato brutalmente o non ti ricordi più nulla di quello che hai studiato, ma la persona dirà “quello vale 100”.


E soprattutto le persone che ami, che a loro volta non sanno nulla di quello che fai o hai studiato, potranno vedere che “qualcuno che ne sa” ha scritto nero su bianco che il loro figlio/a vale.

Allora siamo a posto.

Il giudizio a noi più caro è sempre quello delle persone che ci amano, che, a nostra volta, impariamo ad amare e… giudicare.


Non c’è modo di bloccare le E-mozioni. Se ogni tanto avete la falsa illusione che questo sia possibile, vi sbagliate. Fate la pace con questa possibilità prima che vi distrugga.


Avete sì modo di gestire le tempistiche e di modularne l’intensità iniziale, e questo è possibile esercitandosi all'ascolto e preparazione di sé.

Non potrai mai decidere se arrabbiarti, perché quando si innesca la rabbia in te, vuol dire che il tuo cervello circa un secondo prima aveva già schiacciato i pulsanti per attivarla, perché qualcosa che ha visto/vissuto è stato confrontato con i tuoi ricordi in archivio e ha scelto quella re-azione come la più indicata.


Anche quando dite “mi arrabbio ma respiro e in quel momento la faccio scendere o metto via”, mi dispiace, neanche quello lo avete scelto voi, (ma è un'ottimo modo per modularla!) il vostro cervello alcuni secondi prima aveva scelto anche quello. Una rabbia che vuole esplodere, esplode sempre o trova il modo di farlo, indipendentemente dalla vostra capacità di gestione.


Quello che potete fare però, è giocare d’anticipo, ascoltando e riequilibrando i motivi per cui ci si arrabbia (prendo la rabbia come esempi ma si parla di tutte le E-mozioni in generale)  quello sì, si può fare. E’ come dire “se com-prendo quali sono i motivi per cui mi arrabbio/divento triste/ho paura, mi fermo a guardarli, arrivo alle loro radici e gli do un posto, l’intensità di attivazione quando avverrà sarà più gestibile, e anche la durata cambierà”, questa è la cosa migliore che potete fare per “educare le vostre E-mozioni”


Questo è quello che mi ha permesso di non scappare via urlando in preda all’ansia dalla sala conferenze. Vedere che l’E-mozione c’era, che il mio corpo che lo volessi o no stava reagendo a qualcosa di scomodo, che nel mio cervello tutta una serie di gatti stava camminando sulla tastiera delle E-mozioni schiacciando tutti i tasti possibili immaginabili, l’ho visto, gli ho dato spazio e sono andata avanti.

Mannaggia, non  mi sono accorta di quanta voglia avevo di scrivere… ops… stavolta l’ho fatta lunga… vero?

Ma confido in te, caro lettore e lettrice, perché ami leggere e scoprire sempre cose nuove.

Grazie, come sempre, di essere arrivata/o fino a qui, te ne sono grata.

 


 

 

 
 
 

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